Esteri (giovedì 23 maggio 2024) – “Le emissioni antropiche di gas serra costituiscono una forma di inquinamento dell’ambiente marino.” È quanto ha stabilito il Tribunale internazionale del diritto del mare (Itlos), un organo indipendente delle Nazioni Unite, in un parere consultivo rilasciato il 21 maggio. Sebbene non vincolante, la decisione potrebbe influenzare la giurisprudenza futura, costringendo i governi a migliorare le loro politiche contro la crisi climatica.
di Davide Lettera
Il parere risponde a una richiesta di piccoli stati insulari, come Bahamas, Tuvalu, Vanuatu, Antigua e Barbuda, minacciati dal cambiamento climatico. L’aumento di CO2 in atmosfera aumenta l’acidità degli oceani, con gravi conseguenze per la vita marina e gli equilibri degli ecosistemi.
Nella storica udienza di settembre ad Amburgo, Germania, questi stati insulari hanno sfidato i maggiori emettitori di gas serra. L’Itlos ha concluso che i firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) hanno l’obbligo di prevenire, ridurre e controllare l’inquinamento marino da emissioni di gas serra di origine antropica, basandosi sulla migliore scienza disponibile e sugli standard internazionali, come l’UNFCCC e l’Accordo di Parigi.
Il Tribunale ha inoltre stabilito l’obbligo di “dovuta diligenza” per gli Stati, considerando i rischi elevati di danni irreversibili all’ambiente marino. Questo obbligo può variare in base alle risorse disponibili degli Stati. Inoltre, ha sottolineato l’importanza della cooperazione internazionale per prevenire l’inquinamento marino da emissioni antropiche di gas serra.
I dati mostrano che i Paesi in via di sviluppo e i piccoli stati insulari subiscono maggiormente gli effetti del cambiamento climatico, nonostante il loro contributo minimo alle emissioni globali. Eventi meteorologici estremi come uragani devastano queste nazioni, che rappresentano solo lo 0,7% della popolazione mondiale.
Gli USA dominano la classifica delle emissioni di CO2 globali, con il 25% delle emissioni totali dalla Rivoluzione Industriale, seguiti dall’Europa con il 22%. In confronto, l’intero continente africano è responsabile solo del 3%. Nel 2020, molti Paesi africani, latinoamericani e del sud-est asiatico hanno contribuito per meno dello 0,5% alle emissioni globali.
Questo contesto ha portato alla nozione di debito climatico, secondo cui i Paesi sviluppati hanno un obbligo verso quelli in via di sviluppo per il loro sproporzionato contributo alla crisi ambientale. Tuttavia, finora, non c’è stata una distribuzione equa degli obblighi per raggiungere gli obiettivi degli Accordi di Parigi per il 2030, a causa del limitato impegno dei Paesi sviluppati.
Last modified: Maggio 23, 2024